La Cava dei dinosauri

Cava Pontrelli: sito in eccellente stato di conservazione ed elevata biodiversità


Sul finire degli anni Novanta il prof. Massimo Sarti e il dott. Michele Claps, per conto di una multinazionale petrolifera, stavano conducendo indagini e rilievi alla ricerca di falde di greggio nel territorio della Murgia. Il 10 maggio del 1999, i due esperti si trovavano a cinque chilometri da Altamura, presso la cava De Lucia -ribattezzata, poi, Cava Pontrelli – e rimasero increduli nel vedere alcune fosse sagomate nel basamento della cava, ripulito nei giorni precedenti da piogge abbondanti. Capirono subito, infatti, di aver fatto una grande scoperta: si trattava di orme di dinosauri. Da quel momento in poi, sono iniziati gli studi: sono intervenuti ricercatori di fama nazionale e mondiale, tra cui il prof. Umberto Nicosia dell’Università “La Sapienza” di Roma, esperto icnologo, che da subito confermò che quelle impronte erano proprio orme di dinosauri, organizzate in vere e proprie piste di spostamento.

Le ricerche condotte finora hanno attestato la presenza di circa quattromila orme di dinosauri, estese su uno spazio di 12.000 mq ed impresse su uno strato di calcarenite di piattaforma carbonatica, risalente al Cretacico superiore (circa 80 milioni di anni fa).

In quel periodo, il clima e il territorio in Puglia erano molto diversi da oggi: la cava di calcare, allora, era immersa in una fitta vegetazione tropicale circondata da bacini profondi. Il clima era equatoriale ed ha permesso la conservazione delle impronte, impresse in un terreno paludoso dal fondo fangoso e seccatesi al sole prima di essere coperte da strati di calcare. Numerose impronte, infatti, riportano ancora la piccola onda di fango generata nel momento in cui l’animale ha poggiato la zampa al suolo e addirittura le pieghe della pelle. Le dimensioni delle impronte variano dai 5 – 6 cm fino ai 40 – 45 cm, facendo supporre di trovarsi di fronte ad animali alti fino a 10 metri. Esse testimoniano la presenza di oltre duecento specie, appartenenti almeno a cinque gruppi diversi di dinosauri, erbivori (i sauropodi, dotati di un collo molto lungo, i ceratopsidi, caratterizzati da un cranio pesantemente corazzato e munito di molteplici corni, gli iguanodontidi e gli anchilosauri) e anche carnivori (i teropodi, bipedi e simili al tirannosauro).

Dalla lettura delle impronte e soprattutto delle piste, ovvero di una serie di almeno tre impronte consecutive (o tre coppie di zampe anteriori/posteriori nel caso di animali quadrupedi), lasciate dallo stesso animale in movimento, è stato possibile trarre informazioni sull’apparato motorio scheletrico, la postura, il comportamento, la velocità e le preferenze ambientali degli animali. Si evince come le andature fossero normali, senza tracce di panico, a dimostrazione del fatto che si trattava di un normale spostamento degli animali verso pascoli migliori, per esempio verso il mare.

Tracce fossili del genere sono state rinvenute in altre parti del mondo, ma quelle trovate ad Altamura sono uniche nel loro genere per l’eccellente stato di conservazione e l’elevatissima biodiversità attestata che caratterizzava gli individui presenti contemporaneamente nello stesso luogo.

Alla luce di questo straordinario ritrovamento la Preistoria della Puglia e dell’intero bacino Mediterraneo va riscritta completamente: basti pensare che fino al 1993 (anno della scoperta del Celurosauro di Pietraroia) non era neanche certa la presenza dei dinosauri in Italia. Adesso, non solo sappiamo che la penisola ospitava una folta popolazione di dinosauri, ma scopriamo anche che la Puglia non era un arcipelago di isolette bensì una grande distesa pianeggiante, forse confinante con la Dalmazia.

di Valeria Reale